Monografia su ALVIN CURRAN

 

   


Di: Gioacchino Chimenti


 v. 7


 

INDICE

1. Cenni biografici ....................................................................................

2. Il M.E.V. ...............................................................................................

3. I lavori solistici .....................................................................................

4. Le composizioni per strumenti tradizionali ...........................................

5. Le installazioni “sites specific” ..............................................................

FONTI .........................................................................................................

 

1. Cenni biografici

 

Alvin Curran, nato negli Stati Uniti il 13 dicembre del 1938 a Providence, (Rhode Island), è una figura di spicco del panorama musicale contemporaneo, grazie alla sua inesauribile curiosità che l'ha portato a sperimentare le più varie possibilità di produzione musicale, senza mai credere a suggestioni spettacolari o divistiche ma al contrario creando la sua affascinante musica in una atmosfera rilassata e collaborativa.

Curran ha cominciato a dedicarsi alla musica all'età di cinque anni, quando venne avviato allo studio del pianoforte, ma le sue esperienze musicali giovanili non si limitarono soltanto a questo strumento, egli infatti suonava il trombone nelle bande musicali, cantava nelle sinagoghe, praticava il jazz e si esibiva con le band di musica da ballo del padre.

Ha formato la sua cultura musicale ascoltando composizioni di tutti i generi, dal jazz di Charlie Parker, Thelonius Monk, Gerry Mulligan, Miles Davis e John Coltrane, al repertorio classico eseguito dalla Boston Symphony Orcherstra.

Ha compiuto i suoi studi accademici di composizione con Ron Nelson presso la Brown University nel 1960, e con Elliott Carter e Mel Powell a Yale nel l963.

Proprio Elliott Carter, riconoscendone il talento, nel 1964 lo portò con sé a Berlino come assistente e qui Curran ha approfondito gli studi e ha avuto modo di incontrare alcuni tra i più importanti musicisti del XX secolo: Stravinsky, Xenakis, Berio e Rzewski.

Nello stesso periodo si recò a Darmstadt dove ebbe la possibilità di ascoltare i lavori di Stockhausen e di Ligeti.

Tuttavia il modus operandi dell'ambiente accademico non lo soddisfaceva, per cui Curran abbandonò quel mondo per girare l'Europa, stabilendosi poi a Roma, dove per guadagnarsi da vivere suonava nei piano bar di via Veneto e lavorava come fonico negli studi cinematografici.

Qui cominciò la sua carriera come solista, come compositore per la scena dell’avanguardia teatrale romana e come co-fondatore dello storico gruppo di musica contemporanea Musica Elettronica Viva.

Tra il 1965 e il 1980 ha collaborato con eminenti musicisti europei e americani in formazioni di libera improvvisazione che hanno svolto uno storico ruolo di raccordo tra la musica “composta”, le cui avanguardie orientavano verso forme stocastiche, e le esperienze di derivazione etnica e jazzistica.

Nel suo soggiorno romano ha coltivato importanti amicizie, come quelle con Ennio Morricone e Giacinto Scelsi, senza mai perdere l'occasione di suonare con i più qualificati esponenti dell’improvvisazione contemporanea, da Anthony Braxton a Evan Parker.

Dal 1975 al 1980 ha insegnato improvvisazione vocale presso l’Accademia Nazionale d'Arte Drammatica di Roma, e dal 1991 insegna composizione al Mills College di Oakland, in California.

Durante la sua lunga carriera Alvin Curran è stato più volte premiato per le sue creazioni musicali. Ecco l’elenco dei premi più prestigiosi che ha ricevuto:

- Bearns Prize

- BMI award

- National Endowment for the Arts (2 volte)

- DAAD (Berlin residencies 1963-4 and 1986-7)

- Ars Acoustica International (WDR)

- Prix Italia (premio speciale 1988)

- Premio Novecento (città di Pisa)

- Fromm Foundation (Harvard University)

- Hass Family Award (San Francisco)

- Meet the Composer (assistance to many concerts)

- Premio Leonardo for Excellence (1995)

- Guggenheim Foundation (2004).

 

2. Il M.E.V.

 

 

Fondato nel 1966 con Richard Teitelbaum, Steve Lacy, Franco Cataldi, Fredric Rzewsky, ed esistito in varie incarnazioni fino agli anni '70, il M.E.V., acronimo di Musica Elettronica Viva, ha costituito una sorta di laboratorio permanente in cui i più avventurosi musicisti delle Casella di testo: Da sinistra: Allan Bryant, Ivan Vandor, Richard Teitelbaum,
Frederic Rzewski e Alvin Curran
varie estrazioni sperimentavano le composizioni di Cage, Lucier, Behrman, Kosugi, ed eseguivano le proprie.

Il nome stesso contiene in se il senso dell’avanguardia di questo gruppo che mira a mettere in evidenza la capacità performativa “inconscia” della musica. In alcune loro esibizioni, persino i sedili degli spettatori, a loro insaputa, venivano microfonati, e quindi i movimenti del corpo, i singulti, i battiti risultavano parte integrante della musica messa in scena, fatta anche di urla, strepitii e contorcimenti vari. La musica che ne risulta è dunque elettronica, perché ricreata, rielaborata elettronicamente, ma allo stesso tempo è il simbolo della vita, in quanto prorompe dalla stessa corporeità di chi la crea e di chi vi assiste.

Le loro prime performance non erano solo la rappresentazione del disagio collettivo, ma nascevano da una vera e propria pulsione di distruzione sistematica della struttura predeterminata, di origine cageana, ma non solo.

La musica prodotta dal M.E.V. venne definita naturale, perché mutuata dai ritmi e dai suoni propri della “natura”, ma non si limitava al solo uso di suoni concreti o dell’elettronica, essa comprendeva anche elementi di origine dodecafonica, folk orientale e, grazie soprattutto alla presenza del sassofonista Steve Lacy, si sposava con l’avanguardia jazz.

Il gruppo si esibiva soprattutto dal vivo in happening pubblici, realizzando in quegli anni oltre 200 concerti in Europa e negli Stati Uniti, ma furono prodotti anche tre dischi che raccoglievano quelle esperienze: l’album d’esordio intitolato Spacecraft, e soprattutto i due successivi Friday e The Sound Pool, che costituiscono l’apice dell’esperienza collettiva del MEV.

«The Sound Pool (J.A.T., 1969) presenta quattro tracce, non particolarmente distinguibili tra di loro, registrate dal vivo, nelle quali, al di là delle percussioni, della tromba rotta di Curran e di altri boati, prende possesso della creazione il pubblico presente all’evento (grazie allo stratagemma dei microfoni di cui ho già parlato, ndr). I riflessi jazz e la strenua ricerca del suono si mischiano dunque a quello che diventerà uno dei marchi distintivi dell’etichetta: l’interesse per le musicalità “altre”, estranee alle consuete direttrici sonore e al marketing occidentale, dove occidente assume una connotazione più economica che geografica». [7]

Il M.E.V. ha anche collaborato alla realizzazione di colonne sonore cinemato-grafiche, tra cui quella del film Zabriskie Point di Michelangelo Antonioni, uscito nelle sale cinematografiche nel 1970, alla cui colonna sonora collaborarono anche i Pink Floyd.

Nel 2002 il gruppo M.E.V. si è eccezionalmente ricostituito per dei saltuari concerti in Casella di testo: Due foto del concerto del M.E.V. a Ferrara.
Giugno 2002
Italia, tra i quali quello tenutosi all’Aterforum Festival di Ferrara nel giugno 2002, dal quale sono tratte le foto qui a fianco.

Ecco come il critico Francesco Bigoni recensì questo concerto:

«La sera, in un unico set che attraversa senza soluzione di continuità, composizioni preordinate e libera improvvisazione, il gruppo romano di nascita dà prova di aver accolto tra le proprie istanze creative quella sprezzatura e quel “dilettantismo” (Rzewski definisce M.E.V. “un gruppo di amateurs della musica”) che rendono eccellente il risultato finale. Un distacco accompagnato da una rara onestà intellettuale, da una vitalità ancora nitida e da un certo gusto per il rischio proprio ai puri e duri dell'improvvisazione. Equilibrati i pesi di una poderosa front line (costituita da Steve Lacy al sax soprano e dai trombonisti Garrett List e George Lewis) e di un’affollata sezione tastiere (Rzewski, Curran e Richard Teitelbaum), si procede a partire da un'introduzione rumoristica e informale, animata dall'estro di Lewis e dalla gag di sapore situazionista inscenata da Curran e seguita con particolare divertimento, fra il pubblico, da Judith Malina e Hanon Reznikov del Living Theatre, sodali di vecchia data. La musica si dipana senza flessioni, fra un episodio lacyiano (su testo di Piet Mondrian), gli arditi e tecnicissimi passaggi di Lewis, il raffinato melodismo di List (che, da crooner improvvisato, snocciola una spassosa boutade, proclamando la differenza di statuto tra se e i samples utilizzati dai colleghi), un paio di tenebrosi brani di Teitelbaum, la tempra luciferina di Curran (che muove grandi masse sonore controllando decine di campioni contemporaneamente), il conclusivo “Deadline”, ancora di Lacy, tema a tempo crescente che lentamente si costruisce fino a sfociare nel climax della libera improvvisazione»[8].

 


3. I lavori solistici

 

Alvin Curran è stato tra i primi musicisti al mondo a esibirsi in concerti di musica elettronica eseguita dal vivo. In questi concerti egli intendeva realizzare una musica “naturale” suonando con strumenti Casella di testo: Canti e vedute del giardino magnetico, al Beat 72trovati casualmente, tra i quali per esempio una tromba rotta e un bidone di benzina, che venivano amplificati e modificati tramite filtri e distorsori.

Il suo stile parte spesso da elementi minimi, oggetti sonori naturali registrati su nastro, raccolti durante i suoi viaggi, per costruire paesaggi musicali di grande respiro, con un uso naturale e non feticistico delle risorse elettroniche, sempre usate con uno scopo preciso, non casualmente sperando che le loro grandi potenzialità producano qualcosa di accattivante o interessante. Nei suoi montaggi sonori, arpe eoliche, tubi di plastica, campanacci da mucca, voci e ritmi di bambini si succedono producendo risonanze e suggestioni che lentamente trascolorano dall'una all'altra atmosfera. Egli stesso ha così descritto il proprio procedere creativo: «II suono può apparire nella mia testa, o nelle mie mani, piedi, gola, stomaco o fuori dalla mia finestra, magari ogni giorno alla stessa ora. Un accordo, qualche nota, un treno che passa, un sogno, una premonizione, una vecchia armonica. Spesso c’è più di un suono, e quelli nuovi possono rianimare quelli vecchi, immagazzinati per essere usati in un altro momento. Così in genere ci sono varie e diverse ossessioni che abitano tutte insieme negli affollati e disordinati appartamenti del mio cervello, aspettando che io riesca a trovare il lievito giusto per farli crescere e diventare un essere musicale completamente nuovo».

Ai suoni “naturali” Curran affiancava quelli prodotti tramite i sintetizzatori.

Egli aveva avuto le prime esperienze con i sintetizzatori all’interno del gruppo M.E.V., in quanto già nel 1966 Richard Teitelbaum aveva portato per la prima volta in Italia uno dei primi modelli di Moog, ma lo strumento che lo avvicinò al mondo dei synth fu quello costruito artigianalmente da un altro membro fondatore dello storico gruppo, Alan Bryant, in quanto era uno strumento rudimentale ma con qualcosa di “umano” dentro. La diffidenza iniziale di Curran nei confronti del sintetizzatore venne definitivamente superata quando nei primi anni settanta acquistò un VCS3 (con numero di modello 5), strumento del quale Curran fu il primo possessore in Italia[9].

Da questo background ebbe origine il primo disco di Curran, Canti e Vedute Del Giardino Magnetico (1974), una serie di variazioni improvvisate su un nastro di rumori ambientali, ispirate al minimalismo mistico di Riley, ma improntate a una ben più profonda filosofia naturalistica: nell'elenco degli strumenti compaiono anche vento, fili d'alta tensione, rumore di passi, gracidii di rane, rondini di Roma, api di Lerici, un condotto d'acqua, la spiaggia e inoltre armonica, scacciapensieri, kalimba, campane di vetro, flicorno, tubo di plastica, voce e il sintetizzatore, con cui Curran sviluppava tre melodie su una base sonora in lenta evoluzione. In questo disco confluiscono influenze derivate dal minimalismo, dalla musica concreta, dall’improvvisazione jazz e persino dalla musica popolare, per creare un’ora e mezza di ininterrotto poema sonoro.

Joshua Kosman ha così recensito questo disco recentemente ristampato negli Stati Uniti in Cd dalla Catalyst/RCA: «data la varietà di materiali, quello che colpisce è il modo in cui il brano riesce a essere scorrevole e insieme concentrato. I suoni si alternano, interagiscono e si ricombinano, sempre senza perdere la loro essenziale integrità o il loro senso della direzione drammatica. Col tempo, il brano arriva davvero a costituire quello che con frase abusata si definisce un giardino interiore. È musica meravigliosa e memorabile».

Curran proseguì su questa strada con il successivo disco Fiori Chiari Fiori Scuri (1975), la cui strumentazione include: un'ocarina, un piano giocattolo, uccelli tropicali, una gatta che fa le fusa, grilli della riviera ligure, un asilo londinese, una bambina giapponese. Analogamente nacquero anche Libri D'armonia (1976) per conchiglie, zither, voce, piano, synth e registratore, e soprattutto i Canti Illuminati (1977).

«Canti Illuminati è fondamentalmente una ricerca sulla voce dell'uomo, come prima e naturale fonte di musica conosciuta. Si compone di due parti della durata di circa mezz'ora ciascuna che rappresentano, in tutti i sensi, sviluppi diversi ma complementari della stessa ricerca. Il primo pezzo è per voce, sintetizzatore e tape delay feedback ed è interamente interpretato da Curran. Nella performance in solo il compositore americano sviluppa ed espande suoni microtonali usando una serie di (allora) sofisticate tecniche di distorsione.

Il secondo pezzo è, per dirla con lo stesso Curran, an ever changing vocal improvisation “in on and around” a single tone. Con l'aiuto di un sistema tape continuos delay, con poche note Curran ha creato una tessitura sonora semplice e al tempo stesso complessa. Il coro di questi secondi Canti vede tra gli altri Pier Luigi Castellano, Luca Miti e David Thorner e Nicola Bernardini. Nei circa venticinque minuti si sovrappongono diverse voci in un impasto sonoro estremamente denso. Si distingue la voce del padre di Curran che canta Ein Yiddische Mama, una donna che intona Sweet Besty from Pike, un'altra che cita La bambola di Nicoletta Strambelli (in arte Patti Pravo ndr). L'intero Canto esplora i “variegati panorami di una strutturata improvvisazione corale” ed è in perfetta continuità con quello precedente dove all'improvvisazione corale si sostituisce l'improvvisazione della voce sola, espansa o modificata dall'elettronica»[10]. Il disco, considerato dai critici un lavoro di rara bellezza e importanza, è stato recentemente ristampato a cura di Domenico Sciajno per la Fringes.

Del 1978 è l’album The Works, per voce, synth, pianoforte e nastro magnetico. L’opera si compone di due parti: nella prima si improvvisa con piano, synth incrociati e salmodie mantra, in uno scenario naturale fatto di passi, ronzii d'insetti, abbaiare di cani, eccetera; nella seconda il pianoforte si lancia in un assolo che spazia sul jazz e sul folklore etnico.

L’ultimo lavoro elettronico di Alvin Curran, in ordine di tempo, è Our Ur, realizzato in collaborazione con Domenico Sciajno, nel quale Curran elabora, improvvisando sul suo campionatore, una serie incredibile di pattern sonori naturalistici, che si contrappongono ai brani più strutturati di Sciajno, il quale utilizza suoni molto più “elettronici”.


4. Le composizioni per strumenti tradizionali

  

Negli anni ottanta, Alvin Curran, lasciata l’Italia per ritornare in patria, ha temporaneamente abbandonato i suoni naturali e le improvvisazioni dal vivo, per dedicarsi maggiormente alla musica scritta. Il catalogo di composizioni per strumenti tradizionali di Curran ne include molte per pianoforte che mostrano uno stile dai toni austeri. Tra queste ricordiamo For Cornelius, un opera composta nel 1981-82 dopo la morte di Cornelius Cardew, musicista straordinario, innovatore e rivoluzionario.

L'opera dura circa diciotto minuti ed è divisa in tre parti: uno Pseudo walzer, un Furioso Frastuono ed infine un Corale.

«For Cornelius è un opera dedicata all'amico Cornelius Cardew, artista tra i più fertili del panorama musicale inglese, ma in verità dedicata a chi percepisce vicina ed inevitabile la propria morte.

Cardew durante una passeggiata nella estrema periferia di Londra venne travolto da una macchina, non soccorso, rimase ai limiti della strada ferito per una intera notte in pieno inverno, la mattina seguente verrà trovato morto probabilmente per assideramento.

Scritta immediatamente dopo aver appreso la scomparsa del suo amico, l'opera si divide in tre momenti.

Il primo consiste in una semplice canzone più volte ripetuta.

Il secondo di gran lunga più esteso è nelle intenzioni una vera e propria riflessione che, partendo prima dalla certezza ed in seguito dalla speranza di vivere, di essere soccorso, si evolve, attraverso il rassegnato ricordo sempre più concitato della propria vita, verso la ineluttabilità della morte annunciata nel terzo momento da un requiem severo ed inespressivo».[11]

 

For Cornelius è un brano di impianto neoclassico che comprende al suo interno una lunga sezione sospesa su un unico, ondeggiante accordo. Non solo, dunque, un omaggio all'amico scomparso, ma anche un’acuta ricerca sonora compiuta attraverso l'estenuata dilatazione temporale.

Questo brano insieme ad altri lavori pianistici, The Last Acts of Julian Beck e Schtetl Variations, è stato inciso nel 1995 dal pianista Yvar Mikhashoff, per la casa discografica Mode Records.

Era Ora del 1985 prevede invece una stessa parte per due pianoforti, ma da suonare leggermente fuori sincrono.

Interessanti sono anche gli Inner Cities, una serie di 12 brani per pianoforte solo, composti tra il 1993 e il 2005, definiti come una melanconica meditazione sulla tristezza delle “città interne” americane. Il n.° 2 per esempio prevede una sequenza lenta e ripetitiva che gradualmente cresce divenendo un dramma lacerante, sognante e lirico, per poi ritornare a poco a poco al pattern iniziale. Un’impressionante illustrazione della disperazione urbana.

Proprio in questo anno gli Inner Cities dal primo all’undicesimo, sono stati pubblicati dalla Long Distance Records in un cofanetto contenente 4 CD, nell’esecuzione al pianoforte di Daan Vandewalle (vedi copertina a fianco).

Curran non ha scritto solo per pianoforte. Molti suoi lavori sono per varie formazioni cameristiche e per coro. Tra le numerose partiture di questo tipo, sono da menzionare: Schtyx (1992), per pianoforte, violino, e percussioni; Theme Park x 4 (1998), per quartetto di percussioni; e soprattutto Electric Rags II (1989), composti per quartetto di saxofoni e computer, incisi nel 1989 dal Rova Saxophone Quartet, e considerati l'apice di questa fase della sua carriera.

Il cuore di questa composizione è un sistema computerizzato elettronico che dà la possibilità ad ogni musicista di pilotare uno o più sintetizzatori midi direttamente dal proprio strumento. Un software “dirige” il concerto che, senza più formali sezioni e con libere improvvisazioni dei musicisti, produce una versione assolutamente nuova del lavoro ad ogni esecuzione.     


5. Le installazioni sites specific

  

Alvin Curran è stato tra i primi musicisti a realizzare installazioni sonore “site specific”, cioè delle creazioni musicali appositamente realizzate per la sonorizzazione di specifici spazi architettonici.

Gli sviluppi musicali del ‘900, grazie soprattutto al contributo di autori come John Cage, hanno messo in evidenza le potenzialità musicali insite in ogni suono e in ogni rumore. Partendo da questo presupposto Curran afferma: «spostarmi nei luoghi di origine di questi suoni è stata una naturale conseguenza della mia ricerca di abbracciare l’intero mondo sonoro. Le stesse opere teoriche e pratiche del M.E.V. possono essere considerate già delle installazioni sonore».

Segue una descrizione di alcune tra le più interessanti e significative installazioni sonore realizzate da Curran.

Riti Casella di testo: Foto 1: Maritime Rites, Minneapolismarittimi è un progetto iniziato a metà degli anni settanta che ha acquistato varie forme nel corso degli anni: concerti coreografati sui laghi, con musicisti su barche a remi (foto n. 1); concerti dal vivo per sirene di grosse navi ancorate nei porti di grandi città; installazioni realizzate in rive e laghi usando le trombe di grandi navi (foto n. 2); e infine una serie in dieci parti di brani e improvvisazioni incentrati sulle sirene e su altri Casella di testo: Foto 2: Maritime Rites, Berlin 1987suoni marittimi del litorale orientale degli Stati Uniti, con improvvisazioni solistiche dello stesso Curran e di tanti altri musicisti di fama internazionale quali tra gli altri John Cage e Steve Lacy.

I dieci concerti di  Riti Marittimi prodotti per la National Public Radio nel 1984 sono stati pubblicati dalla New World Records in due CD con il titolo di Maritime Rites.

Music from the center of the earth[12] è invece una serie di tre progetti di installazioni di musica elettronica accomunate dall’uso di diffusori nascosti nel sottosuolo in varie configurazioni.

La prima installazione si intitola Notes from underground, un lavoro realizzato per l’Ars Electronica Festival del 1991 in collaborazione con l’installazione visiva di luci intitolata Floor plan di Melissa Gould. Si tratta di una commemorazione concettuale dell’olocausto ebraico. La Gould ridisegnò in scala 1/1 la pianta di una sinagoga di Berlino distrutta dai nazisti usando 110 luci fluorescenti. Per completare questa architettura surreale di luci venne ideato un sistema di diffusione sonora nel quale gli altoparlanti erano nascosti sotto il terreno, lungo tutto il perimetro dell’edificio immaginario, creando in tal modo un muro sonoro dal quale dovevano sprigionarsi le voci e i canti di milioni di persone.

Curran realizzò la parte musicale presso gli studi del Center for Contemporary Music del Mills College, nella primavera del 1991, utilizzando un coro di studenti che eseguiva una serie di strutture musicali di base: accordi sostenuti, melodie, glissandi, note tenute, ecc. A questi si aggiunsero estratti di brani di musica a cappella provenienti da tutto il mondo, rumori industriali e versi di animali per un totale di 24 tracce audio realizzate con continue sovraincisioni. Da tutta questa massa di “materia prima” Curran realizzo 4 missaggi definitivi molto lunghi, che collocò lungo i quattro muri principali della sinagoga. La musica venne trasmessa dall’alba al tramonto per tutta la durata del festival creando non un semplice muro sonoro, ma una singolare presenza che concordava perfettamente con il campo di luci della Gould.

The magnetic garden è il secondo progetto di questa trilogia e si basa sulla fusione tra la performance solistica del 1973 intitolata Canti e vedute del giardino magnetico di cui ho già parlato, e Notes from underground appena descritta.

In questo caso però il termine “giardino” non indica più le invisibili particelle di ferro distribuite nel nastro da ¼ di pollice, ma un vero giardino coltivato con piante e in questo senso anche un posto dove l’arte della botanica e l’arte musicale si incontrano in un modo speciale. A differenza di tante altre opere dello stesso Curran dalla vita effimera, 30 o 60 minuti per un unico evento, il giardino magnetico assomiglia di più a una scultura, a un luogo unico nel quale poter fondere insieme le ricerche in campo musicale, tecnologico e botanico. Il giardino dovrebbe essere un luogo realizzato in collaborazione con altri artisti, botanici creativi e artisti visivi, e anche se non ne è prevista l’ampiezza, da adattare alle risorse disponibili, dovrebbe essere suddiviso in 9 settori.

Diversamente dai tipici giardini botanici, questo lavoro non vuole essere didascalico o enciclopedico, ma focalizzato sul metafisico e sul fantastico. Inoltre gli spettatori avrebbero un ruolo attivo nell’installazione, divenendone essi stessi parte, semplicemente stando e muovendosi nel giardino stesso.

La musica verrebbe diffusa tramite altoparlanti nascosti nel sottosuolo, tra i rami degli alberi e in altri posti “mimetici”, e verrebbe pilotata da un computer che, attraverso due software, regolerebbe le altezze, la durata ed altri parametri dei suoni, seguendo degli schemi legati ai ritmi biologici. L’elenco dei suoni da utilizzare è vastissimo e comprende circa 2GB di suoni campionati raggruppabili in: linguaggi umani, versi animali, attività umane comuni provenienti da tutto il mondo, musica proveniente dai più svariati posti, suoni ambientali industriali e tante altre fonti sonore come strumenti musicali sia moderni che antichi e rari, dirette radiofoniche, telefonate, ecc.

Conclude la trilogia The well well well (vedi immagine a fianco), che è una sorta di variazione del giardino magnetico e che può essere autonomo o far parte del giardino stesso. Si tratta di un ambiente musicale pubblico centrato su uno speciale pozzo (in inglese well) che ha una duplice funzione:

1.    da un lato produce un monumentale ritratto sonoro del mondo, un missaggio di clip sonore di luoghi, eventi, oggetti, voci, animali, ecc. pilotati tramite computer attraverso il software MAX che, opportunamente programmato, seleziona i suoni in modalità casuale, li miscela e ne stabilisce le durate e le altezze seguendo algoritmi basati sui ritmi della natura.

2.    dall’altro lato acquisisce e rielabora qualsiasi suono che il pubblico indirizza verso di esso, trasformando gli spettatori in co-esecutori. Uno speciale sistema computerizzato trasformerà questi suoni processandoli in tempo reale con filtraggi, modulazioni, echi e molto altro.

Straordinario compendio di musica su spartito per strumenti tradizionali, installazione sonora e musica elettronica è il brano del 1988 intitolato Crystal Psalms, scritto per commemorare il cinquantesimo anniversario della “Kristallnacht”, che fu il primo vero attacco nazista contro gli ebrei di Germania avvenuto il 9 Novembre del 1938. La Kristallnacht, notte dei cristalli, deve il suo nome alle schegge di vetro che ricoprivano i marciapiedi dinanzi i 7500 negozi ebraici che furono presi di mira quella notte. Essa si concluse con la morte di 91 israeliti, l'arresto di altri 26 mila, la distruzione di 177 sinagoghe (di cui 101 date alle fiamme) e la profanazione di cimiteri.

Come afferma lo stesso Curran in una sua intervista[13], nel mettere a fuoco questo quasi incomprensibile momento tragico della nostra storia recente, non ha inteso offrire l’ennesima lezione di storia sull’olocausto, ma più semplicemente riportare una propria dichiarazione in musica, e sollecitare un atto cosciente di riflessione non solo su questo momento di incomparabile follia umana avvenuto cinquanta anni or sono, ma su tutti i crimini commessi contro l’umanità, in ogni luogo e in ogni tempo.

La realizzazione di quest’opera di Curran ha richiesto una partecipazione internazionale. Il 20 ottobre del 1988, su gran parte dell’Europa occidentale si è sentito qualcosa che doveva trasformarsi in una leggenda nella storia della radio, un concerto per musicisti dislocati in sei nazioni, che suonavano simultaneamente e, attraverso un mixaggio sonoro dal vivo, raggiungevano il pubblico europeo da Palermo ad Helsinki.

Centinaia di musicisti hanno collaborato alla realizzazione del brano trasmesso da 7 stazioni radiofoniche europee, un coro, 4 trombonisti, 4 violoncellisti, 4 violisti, 4 flautisti, 4 clarinettisti, 2 tube, 2 saxofonisti, 6 fisarmonicisti e 6 percussionisti divisi in sei gruppi. Alla musica prodotta dal vivo Curran aggiunse una traccia stereofonica pre-registrata che aveva anche la funzione di sincronizzare i sei ensembles. La traccia conteneva vari suoni della vita degli ebrei, dal suono arcaico dello shofar (un corno rituale), alle voci degli ebrei yemeniti che pregano nel muro del pianto, da vecchie incisioni di cori liturgici a voci di bambini, cui fanno da contrasto suoni di vetri rotti, di treni, di navi e di corvi. La registrazione di questo storico evento è stata pubblicata nel 1994 dalla New Albion.

L’elenco delle installazioni realizzate da Curran è vastissimo e comprende opere create in collaborazione con tanti altri importanti artisti e musicisti di fama mondiale.

Tra le tante cito Toto Donaueschingen (1999), un personale e fantasioso ritratto sonoro dei 75 anni del Donaueschingen music festival, realizzato dal vivo con la collaborazione al computer di Nicola Bernardini e Domenico Sciajno.

L’ultima opera in ordine cronologico si intitola Nora sonora, e consiste nella sonorizzazione del sito archeologico di Nora in Sardegna. L’opera è stata eseguita il 30 luglio del 2005 da 100 musicisti del conservatorio di Cagliari che hanno suonato con strumenti acustici trasportabili e hanno cantato. L’immagine seguente contiene la foto del sito di Nora con le annotazioni di Curran per realizzare l’evento.


Casella di testo: Progetto di Nora sonora

 

FONTI

 

Bibliografia

 

Vidolin Alvise, Musica informatica e teoria musicale, Copyright by Alvise Vidolin, 1999

Gentilucci Armando, Introduzione alla musica elettronica, Milano, Feltrinelli Editore, 1972

AAVV, Il complesso di Elettra, CIDIM, 1995

Restivo Gianfranco, L’evoluzione della musica elettronica, «Prometheus», Anno I, numero 2. 25 giugno 2001

 

 

Internet

 

Meale R., Recensione M.E.V. The Sound Pool, 31 luglio 2005, www.kalporz.com, Copyright © Kalporz 2000-2005

Bigoni F., Recensione Live, Arteforum Festival, Ferrara, www.allaboutjazz.com, Giugno 2002

Curran Alvin, Curran on synthesizer, www.alvincurran.com, 1981

Bellino Francesca Odilia, Recensione di Canti Illuminati, Copyright by Sands-Zine, www.sands-zine.com, 09/05/2005

Alvin Curran, intervista su Weft Warp and Purl, Raisat Zoom, www.raisatzoom.it

Bellino Francesca Odilia, Recensione di Maritime Rites, www.allaboutjazz.com, 2004

Alvin Curran, Music from the center of the Earth, www.kunstradio.at

Alvin Curran, Sito internet ufficiale, www.alvincurran.com

Acceturo Jeanne, recensione di Crystal Psalms, www.epitonic.com, 31/10/2001

 

 

Discografia

 

Musica Elettronica Viva, Spacecraft, Mainstream, 1968

Musica Elettronica Viva, Friday, Polydor, 1969

Musica Elettronica Viva, Soundpool, Byg, 1970

Alvin Curran, Canti e Vedute Del Giardino Magnetico, Ananda, 1977 - Catalyst, 1993

Alvin Curran, Fiori Chiari Fiori Scuri, Ananda, 1979

Alvin Curran, Canti Illuminati, Fore, 1980

Alvin Curran, The Works, Fore, 1980

Alvin Curran, Maritime Rites, New World Records, 1984

Alvin Curran, Ursula Oppens - Frederic Rzewski pianos, For Cornelius - Era ora, New Albion, 1986

Alvin Curran, Rova Sax Quartet, Electric Rags II, New Albion, 1989

Alvin Curran, Crystal Psalms, New Albion, 1994

Alvin Curran, Yvar Mikhashoff piano, For Cornelius; The Last Acts of Julian Beck; Schtetl Variations, Mode, l995

Alvin Curran, Abel-Steinberg-Winant Trio and String Quartet, Schtyx. VSTO., CRI, 1994

Alvin Curran, William Winant percussion, Theme Park, Tzadik, 1998

Alvin Curran - Domenico Sciajno, Our ur, Rossbin Production, 2004

Alvin Curran, Daan Vandewalle piano, Inner Cities, complete series 1-11, Harmonia Mundi, 2005

 



[7]Tratto da Meale R., Recensione M.E.V. The Sound Pool, 31 luglio 2005, www.kalporz.com, Copyright  © Kalporz 2000-2005

[8] Tratto da: Bigoni F., Recensione Live, Arteforum Festival, Ferrara, www.allaboutjazz.com, Giugno 2002.

[9] Curran A., Curran on synthesizer, 1981, www.alvincurran.com.

[10] Tratto da: Bellino Francesca Odilia, Recensione di Canti Illuminati, 09/05/2005, Copyright by Sands-Zine, www.sands-zine.com.

[11] Recensione del pianista Oscar Pizzo che ha nel suo repertorio questa partitura.

[12] Cfr. Alvin Curran, Music from the center of the Earth, www.kunstradio.at

[13] Acceturo Jeanne, recensione di Crystal Psalms, www.epitonic.com, 31/10/2001